Ciò che siamo si rivela subito il primo giorno, quando di fronte ai bambini devi decidere come impostare il tuo lavoro: per asservire o per liberare. Da questa scelta discende tutto il resto, anche la tua dimensione umana.
Mario Lodi
A Sfide 2022 celebreremo i 100 anni dalla nascita del maestro di Vho con due eventi a lui dedicati, patrocinati dal comitato promotore del Centenario:
venerdì 29 aprile dalle 11.30 alle 13.00 “NON SONO UN VOTO. Quale apprendimento per la scuola di tutti?” con Elisabetta Nigris e Anna D’Auria
sabato 30 aprile dalle 15.30 alle 17.00 “La lezione di Mario Lodi: come praticare la creatività nelle classi?” con Franca Zuccoli e Michele Corna
Entrambi gli appuntamenti sono ad ingresso gratuito. Per partecipare è necessario iscriversi qui sul nostro sito!
Di seguito un articolo a firma di Franco Lorenzoni pubblicato sul numero di gennaio della rivista DIDA, edita da Erickson, che ringraziamo per la gentile concessione. Buona lettura!
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Mario Lodi è noto e apprezzato come autore di Cipì e di numerosi altri testi per l’infanzia, spesso scritti assieme alle bambine e bambini delle sue classi. Da maestro elementare ha sempre difeso la libertà espressiva dei suoi allievi e ha contribuito a rinnovare la scuola elementare. I suoi diari didattici, la cui lettura dovrebbe essere obbligatoria in ogni facoltà che formi le nuove maestre e maestri, hanno rappresentato un riferimento generativo per migliaia di insegnanti che parteciparono al grande rinnovamento della scuola di base avvenuto dopo il 1968.
Ricordiamo che allora, in meno di un decennio, ci fu l’inaugurazione del tempo pieno nel 1971 (purtroppo solo in un terzo delle classi elementari), l’apertura delle scuole a inedite forme di partecipazione democratica e sociale dal 1975 e l’ingresso delle bambine e bambini con disabilità dal 1977.
Un’epoca di riforme come altre mai, dovuta alla radicalità di movimenti di massa che coinvolsero tanta parte della società italiana, preparata e nutrita dall’opera di tanti piccoli gruppi di maestre e maestri che operarono con lungimiranza fin dagli anni Cinquanta.
Il suo diario didattico più noto e ricco di riflessioni e proposte —Il paese sbagliato — quando uscì nel 1970 vendette oltre centomila copie e fu un caso letterario che mise in discussione alla radice l’immaginario collettivo della scuola elementare. Erano anni in cui la RAI trasmetteva in prima serata Diario di un maestro, quattro puntate girate con arte e sensibilità da Vittorio De Seta, tratte da un altro diario didattico: Un anno a Pietralata di Albino Bernardini.
Mario Lodi, che entrò nella scuola nell’anno della promulgazione della Costituzione, già nel 1955 cominciò a partecipare alle assemblee e agli incontri del Movimento di Cooperazione Educativa animati da Pino Tamagnini, dove ebbe la possibilità di incontrare e divenire amico di Bruno Ciari e tante altre e altri pionieri dell’educazione attiva, che si ispiravano al maestro francese Célestin Freinet.
Nel 1963 pubblicò C’è speranza se questo accade al Vho, il suo primo diario didattico, in cui denunciava ciò che non andava nella scuola narrando in modo sincero ed efficace ciò che cominciava a sperimentare nella sua classe. Per comprendere la portata innovatrice della sua didattica, ascoltiamo come traspare dalle parole delle bambine e bambini di una sua quinta elementare.
Nella primavera del 1969 arriva da Bergamo una lettera scritta da Rita Gay, una maestra che legge regolarmente il giornalino dei bambini di Piadena e chiede loro un consiglio perché i suoi alunni «si rifiutano di cantare, di disegnare, di drammatizzare. Si vergognano e preferiscono accettare tutto quello che piove loro dall’alto». «Cara amica» rispondono gli allievi di Lodi «noi abbiamo discusso la lettera e abbiamo deciso di pubblicare come risposta la nostra conversazione».
«È un problema non facile» dice subito Tiberio «perché per far diventare liberi bambini del genere bisognerebbe farli ritornare in prima e abituarli a essere liberi».
«La maestra potrebbe dire di fare un disegno e scegliere il più bello da fare grande» suggerisce Carolina. «Tutti i giorni uno, così si abituano a disegnare». E Donatella aggiunge: «Se la maestra fa il disegno, i bambini potrebbero avere paura di sbagliare o di non riuscire a fare come lei».
«Secondo me è sbagliato che la maestra faccia disegno» precisa Cosetta, «la maestra piuttosto potrebbe fare domande perché i bambini comincino a parlare della vita. Non è giusto mostrare un disegno della maestra perché i bambini usano la fantasia mentre i grandi dipingono cose copiate, le solite cose».
Per Umberta «potrebbe leggere un libro e invitarli a dire il loro parere, oppure andare fuori in campagna per far loro scoprire la natura». «Io dico che già la natura li interessa» insiste Angelo, «è come una calamita che attira il ferro, non possono resistere ».
«Scoprire com’è bella la natura» aggiunge Fiorella «e poi scrivere i testi su quello che si è visto e rappresentare fiori e erbe con tutti i particolari che hanno e così spingerli a fare cose da soli».
«E magari fare un film: la vita nei campi» aggiunge Umberta, anche se Cosetta si chiede come potrebbero fare, visto che non vogliono drammatizzare. La conversazione si conclude con la proposta di Mirella di scrivere ai bambini di Bergamo, così «noi scriviamo a loro e loro raccontano a noi».
Vita, natura e conversazioni per abituarsi a essere liberi
Cominciare a parlare della vita, scoprire com’è bella la natura, dipingere ogni giorno, invitarli a dire il loro parere e abituarli così a essere liberi. In questi suggerimenti a una maestra in difficoltà ci sono alcuni elementi chiave del metodo che Mario Lodi andò via via sempre più raffinando ed ebbe la capacità di narrare in modo cristallino nei suoi diari didattici.
Prima di tutto c’è il grande valore dato all’espressione di bambine e bambini. Scegliere insieme un dipinto e ridipingerlo in grande, infatti, è un modo di restituire e valorizzare la creatività infantile trasformando l’opera di uno in impresa collettiva di tanti. Si ha modo così di sperimentare la liberazione dal modello adulto, suggerito da Donatella e confermato da Cosetta, che lamenta il fatto che i grandi dipingano spesso le solite cose.
La fiducia nella creatività infantile è evidentemente fatta propria dagli allievi di un maestro che aveva una particolare passione per la pittura infantile da arrivare a organizzare una mostra della pittura evolutiva intitolata L’arte del bambino.
C’è poi il grande valore dato all’oralità e alla conversazione, come principale luogo di conoscenza ed elaborazione culturale, tanto che viene scelta dai bambini di Piadena come forma di risposta corale alla maestra di Bergamo. La conversazione permette infatti a bambine e bambini di moltiplicare i loro suggerimenti: dalla proposta della lettura come spunto perché ciascuno possa esprimere il suo punto di vista al proporre la natura come irresistibile calamita in grado di «spingerli a fare da soli».
«Aiutami a fare da solo», famoso motto di Maria Montessori, è fatto proprio dagli allievi di Mario Lodi perché è evidente che, al quinto anno della loro esperienza di scuola attiva, è nel ricercare liberamente e fare da soli che riconoscono la strada maestra del loro costruire conoscenza, senza perdere il piacere e il senso di ciò che si sta scoprendo insieme.
«Insieme» è infatti il titolo del giornalino che quotidianamente compongono e settimanalmente spediscono a un nutrito gruppo di abbonati che un po’ in tutta Italia seguono il lavoro di quella classe. Segno concreto ed evidente dell’importanza che il maestro dà alla documentazione dei percorsi sperimentati come strumento che dà valore e dignità a ogni traccia creata dai bambini.
Nella proposta di Umberta di fare un film c’è infine un ulteriore dettaglio che illumina il fare scuola che si andava sperimentando in quegli anni a Piadena. Mario Lodi ritiene necessario moltiplicare i linguaggi perché ciascuno trovi il suo e dunque non esita a utilizzare le nuove tecnologie di cui cerca di dotarsi all’inizio a sue spese: dal limografo alla cinepresa, al magnetofono, utilizzato per scambiarsi nastri registrati con la classe di Bruno Ciari.
In un altro capitolo de Il paese sbagliato vengono infatti riportate alcune trascrizioni di conversazioni parallele tra gli alunni dei due maestri che hanno maggiormente contribuito a cambiare la scuola di base nel dopoguerra.
Un uomo mite e combattivo
«Con la parola cattiva si può offendere, urlare, litigare: con la parola gentile si possono raccontare le cose più belle» scriveva Mario Lodi nel 2009. E alla domanda da dove si dovesse cominciare nel presentare la Costituzione a bambine e bambini, rispondeva senza esitare: «Bisogna partire dalla parola gentile. Noi a scuola useremo le parole educate e parleremo piano».
Fiorenzo Alfieri, che fu tra i primi e più attivi promotori del tempo pieno nelle periferie di Torino, ricorda come Mario Lodi si presentava nei momenti di formazione organizzati dal MCE.
I suoi interventi erano spettacoli gentili, commoventi, ricchi di effetti, di colpi di scena; il tutto con l’aria di chi aveva agito com’è naturale che si agisca, di chi ti dice implicitamente che anche tu puoi operare allo stesso modo, se vuoi. Il miracolo della creatività non si ritrova soltanto nella musica, nella letteratura, nella pittura, nella stessa scienza: c’è anche nella pedagogia. Non si nasce soltanto musicisti, matematici, poeti, scienziati: si nasce anche maestri. Mario era un maestro nato e, per sua fortuna, era anche portato per la scrittura, il disegno, la pittura, la musica, la fotografia, il teatro. Ma soprattutto era capace di centrare i problemi, di non essere mai banale, di sorprenderti per la naturalezza con cui esprimeva concetti ai quali l’ascoltatore non aveva mai pensato, malgrado la loro apparente linearità.
Mario Lodi era un uomo mite. Deciso e combattivo, persuaso nelle sue convinzioni, ma profondamente mite. Norberto Bobbio, in un breve saggio dedicato all’Elogio della mitezza, descrive il mite come colui «che lascia essere l’altro quello che è».
Lasciare essere l’altro quello che è potrebbe apparire una qualità ai limiti del paradosso per chi educa, perché l’atto dell’educare, se efficace, comporta sempre una qualche trasformazione capace di orientare il processo di crescita.
Ma se proviamo a imboccare la strada stretta e impervia dell’educare alla libertà attraverso la libertà e alla democrazia vivendo esperienze di democrazia, forse il groviglio si dipana.
Ed è qui che troviamo la qualità più profonda e duratura del fare scuola di Mario Lodi, espressa mirabilmente dalla sua alunna Donatella quando afferma: «Io dico che di tutte le classi, importante è la prima elementare perché il maestro deve “trovare” il carattere del bambino. Nelle elementari si formano i bambini nel carattere e nelle abitudini».
Donatella sta discutendo con i suoi compagni su come dovrebbe essere la scuola media e la memoria la riporta al suo arrivo alle elementari. È lì che ha incontrato un maestro attento a ricercare caratteristiche e qualità del suo carattere.
Nella trascrizione dall’orale allo scritto Mario Lodi ha voluto mettere tra virgolette il verbo trovare che Donatella, nel suo intervento, aveva rafforzato con un deve. Il maestro deve trovare il carattere dei suoi allievi. Sta qui, in questa incessante ricerca e confronto e scambio reciproco tra i caratteri che piano piano affiorano nella classe e possono liberamente mostrarsi per quello che sono, il segreto dell’armonia che giorno dopo giorno il maestro di Piadena costruiva nel suo fare scuola.
È ciò che sostiene lo psicoanalista Wilfred Bion quando afferma: «Pare che abbiamo bisogno di rimbalzare su un’altra persona, di avere qualcosa che rifletta indietro quello che diciamo prima che possa diventare comprensibile. C’è bisogno a volte di essere presentati a noi stessi».
Ecco, la scuola di Mario Lodi — con i suoi continui dialoghi, testi liberi e una moltiplicazione di esperienze a cui si ritorna utilizzando i più diversi linguaggi — era una palestra che permetteva quel continuo rimbalzare gli uni sugli altri che rendeva possibile scoprire e individuare poco a poco il proprio carattere, compreso, naturalmente, quello del maestro, capace di giocare e mettersi in gioco con i suoi piccoli allievi.
«Ciò che siamo si rivela subito il primo giorno, quando di fronte ai bambini devi decidere come impostare il tuo lavoro: per asservire o per liberare. Da questa scelta discende tutto il resto, anche la tua dimensione umana».
E in un altro testo esemplare — Cominciare dal bambino — conferma e rafforza questa sua convinzione: «Se siamo capaci di liberare il bambino, spezziamo dentro di noi anche le altre catene».
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Franco Lorenzoni. Maestro elementare per quarant’anni, nel 1980 ha fondato la Casa-laboratorio di Cenci ad Amelia, in Umbria: un luogo di sperimentazione, formazione e ricerca educativa e artistica. Ha promosso diverse campagne per un uso limitato e consapevole delle tecnologie nella scuola, in favore dello ius soli e ius culturae per garantire piena cittadinanza ai bambini e ragazzi immigrati.
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