Quante volte nelle nostre giornate accade di sperimentare come alcune situazioni, anche quelle che appaiono come chiare e oggettive, si presentino in modo diverso a persone diverse, vengano cioè «percepite» in modo differente generando azioni eterogenee? Il costrutto del perspective taking, letteralmente «prendere la prospettiva», riguarda proprio queste esperienze quotidiane e, in particolare, si riferisce alla «presa di prospettiva di un altro o di altri». Anche i bambini in molte attività routinarie fanno esperienza del perspective taking, si pensi ad esempio al gioco del nascondino, al gioco simbolico, alla situazione nella quale i bambini vengono ripresi dall’insegnante per motivi che a loro sfuggono o a quella in cui si deve mantenere un segreto nei confronti di una persona, alla risoluzione di un conflitto, ecc.
Il perspective taking — definito come l’abilità di comprendere pensieri, sentimenti, percezioni e, in generale, punti di vista differenti dal proprio — rappresenta, allora, una competenza fondamentale per lo sviluppo socio-affettivo del bambino. Capire come si sente un compagno, che cosa sta pensando o che cosa riesce o non riesce a vedere dal posto in cui si trova aiuta i bambini ad attribuire un significato al comportamento altrui e li guida nel regolare, di conseguenza, le proprie azioni e reazioni nei confronti degli altri.
È proprio a partire dall’osservazione di interazioni quotidiane come quelle sopra descritte e dalla consapevolezza dell’enorme potenzialità di questi preziosi momenti interattivi che è iniziato il nostro lavoro di ricerca-azione e formazione sul perspective taking, dalla ricerca all’esperienza sul campo, alla documentazione. Questo è il processo che ci ha portate a progettare e realizzare il volume Cambiamo prospettiva: Un percorso per sviluppare la comprensione di sé e dell’altro alla scuola dell’infanzia, edito da Erickson. Il nostro obiettivo era lasciare traccia di un percorso molto significativo che riteniamo possa diventare uno strumento di riflessione e di lavoro per tutti gli insegnanti e tutte le insegnanti della scuola dell’infanzia.
Il perspective taking: le tre componenti
Il perspective taking viene concettualizzato da diversi autori come un costrutto di natura multicomponenziale, caratterizzato in particolare da tre componenti: cognitiva, percettiva ed emotiva. Il perspective taking cognitivo si riferisce alla capacità di inferire i pensieri, le motivazioni e le intenzioni altrui, il perspective taking percettivo è invece la capacità di fare inferenze su come un oggetto si presenta a una persona che occupa una dimensione spaziale diversa dalla propria e infine il perspective taking emotivo è la capacità di comprendere gli stati emotivi delle altre persone e, secondo diversi autori, è la base dell’empatia. Le tre componenti sono in costante interconnessione a partire dalle precoci esperienze di interazione con gli altri e con l’ambiente. Le esperienze quotidiane, infatti, rimandano in modo molto intuitivo e chiaro come in tante situazioni, dalle più semplici a quelle più complesse, i diversi individui si differenzino rispetto alla loro capacità di decentrarsi e posizionarsi da punti di vista altrui. Va da sé quindi che si tratta di una competenza che si sviluppa nel tempo e che è influenzata da diversi fattori.
Le basi dello sviluppo della capacità di perspective taking si collocano nei primi mesi di vita e le differenze individuali dipendono fortemente dal contesto familiare di appartenenza. L’ingresso nelle prime comunità educative, a partire dal nido e dalla scuola dell’infanzia, rappresenta un’ulteriore occasione per promuovere lo sviluppo del perspective taking (cognitivo, emotivo e percettivo). Il contesto scolastico si configura come un ambito nel quale i bambini possono partecipare in modo attivo alla co-costruzione di esperienze di apprendimento della loro capacità di decentramento.
Il training
Dal momento che il perspective taking si configura come una competenza estremamente adattativa — ovvero capace di promuovere abilità sociali, cognitive ed emotive che consentono ai bambini un miglior adattamento e funzionamento nei contesti di vita quotidiana — diversi studiosi e professionisti si sono interrogati sulla possibilità di insegnarla e promuoverla nei bambini.
Nel nostro percorso di ricerca e intervento, abbiamo avuto la possibilità di implementare un training, il TPTP (Training on Perspective Taking for Preschoolers), di proporlo a tanti bambini in età prescolare e di validarne l’efficacia attraverso disegni di ricerca longitudinale.
Il training di potenziamento presentato nel nostro volume si configura come un intervento mirato alla promozione dell’abilità di perspective taking dei bambini. L’intervento focalizza l’attenzione sulle tre dimensioni di questa abilità (percettiva, cognitiva ed emotiva) e si articola in 20 incontri da condursi in giorni differenti. Ciascun incontro ha una durata di circa 45 minuti, a meno che non sia diversamente indicato, da svolgersi in piccolo gruppo (6-8 bambini circa). Ogni incontro si propone di potenziare in modo specifico una componente del perspective taking, ma, trattandosi di dimensioni interrelate, all’interno delle specifiche attività possono essere rafforzate anche le altre due.
Le attività, ecologiche e ben note ai bambini, sono mutuate direttamente dal contesto della scuola dell’infanzia: lettura di storie, riflessione/discussione, drammatizzazione, disegno e prove empiriche di decentramento. I momenti di riflessione/discussione in gruppo hanno l’obiettivo di favorire un confronto di tipo circolare, all’interno del quale vengono ripresi, evidenziati e valorizzati i diversi punti di vista dei bambini. Questi momenti hanno l’obiettivo di rendere riconoscibili ai bambini le diverse prospettive emergenti e di dare loro l’opportunità di fare un’esperienza diretta di perspective taking, di rendersi conto dei diversi punti di vista dei compagni, su aspetti e questioni di volta in volta differenti.
L’adulto che conduce il gruppo stimola all’ascolto, alla riflessione e alla partecipazione, nel rispetto dei tempi e delle modalità di ciascuno. Inoltre, pone domande che devono sempre essere esplorative e non giudicanti e/o valutative. Lo scopo è infatti conoscere il punto di vista del bambino e aiutarlo a riflettere su percezioni, emozioni e pensieri differenti dai propri, non ottenere risposte corrette. Nel corso degli incontri, indipendentemente dal tipo di attività, vengono forniti ai bambini feedback positivi e spiegazioni da parte dell’adulto.
Infine, riveste particolare importanza l’organizzazione dello spazio fisico. Durante le attività di gruppo i bambini e gli insegnanti dovrebbero essere posizionati in cerchio o semicerchio, se non diversamente esplicitato, in modo che ognuno possa vedere ed essere visto da tutti gli altri. Questo rende l’attività inclusiva anche dal punto di vista spaziale.
Un’occasione per ripartire insieme
Come è intuibile, il training qui presentato è facilmente realizzabile nelle scuole, prevedendo l’utilizzo di spazi, tempi, materiali e attività che connotano il contesto educativo della scuola dell’infanzia. Alla base del training c’è l’idea che sia non tanto la metodologia in sé quanto il suo utilizzo consapevole e intenzionale il principale fattore di promozione di determinate abilità nei bambini. Inoltre, un altro presupposto che sta alla base del percorso è la considerazione del gruppo come spazio nel quale fare esperienza: spazio di espressione, confronto, integrazione di diversi punti di vista percettivi, cognitivi, emotivi dei bambini.
Ci auguriamo che il processo che ci ha guidate in modo appassionato e creativo nella stesura di questo libro — dalla ricerca all’esperienza sul campo, alla documentazione — riparta in modo generativo proprio dalle idee, azioni ed emozioni di ogni insegnante che si attiveranno nella lettura di queste pagine. E, come è successo a noi, siamo certe che in questo processo generativo anche i punti di vista degli adulti si amplieranno e diventeranno maggiormente consapevoli.
[continua]
Articolo a cura di Arianna Mori, psicologa libero professionista e Dottoressa di ricerca in Psicologia, e Ada Cigala professore associato di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione presso l’Università di Parma. Pubblicato sul n°14 di DIDA, la rivista di Erickson per chi cerca ispirazioni e materiali per una scuola aperta e inclusiva!
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